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Accedi con facebookProvate a fare il gioco dell’associazione d’idee con qualcuno che non sia ascolano; ditegli: a cosa associ il Carnevale? E quello, deciso: maschere, musica, ballo, teatro, carri allegorici, coriandoli. Il che è verità. Ma all’ascolano questa verità va strettissima; lui, infatti, il Carnevale lo vive in modo radicalmente suo.
Certo, anche con coriandoli, maschere e compagnia cantando ma, per lui Carnevale significa fare soprattutto l’attore e il regista di se stesso. Cosicché l’etichetta di “Gente invidiosa e folle” che Cecco incollò ai suoi concittadini otto secoli fa, nel secondo aggettivo c’è tutta perché l’ascolano giovane o anziano, donna o uomo, a Carnevale va in follia: una follia, però, calcolata, inquadrata, equilibrata. E concentrata.
Concentrata massimamente sull’evidenziazione burlesca delle peculiarità locali, sulla vita che ogni giorno scorre all’ombra delle torri e al sole delle piazze, sui propri difetti e scivolate, mai sui propri meriti.
Una vera presa in giro di se stesso, di chi gli vive accanto, del potente di turno. Una plastica messa in risalto di situazioni sociali: di proverbi dialettali di cui si nutre la quotidianità; di eventi che hanno fatto ridere, discutere, arrabbiare, che insomma hanno tenuto banco. E allora eccolo, l’ascolano, dare sfogo alla sua estrosità vestendola di allegria; di discorsi proposti non da dietro l’anonimato di una bautta ma a viso scoperto; di silenzi mimati eppure saturi di eloquenza; di bravura nel saper coinvolgere la numerosissima platea che sotto i maestosi lampadari; a gocce o gioiosamente arlecchinati in sintonia ambientale, si riversa nel centro storico.
Dunque,
non una città in maschera come tante altre. A Carnevale, infatti, Ascoli non è
più una città ma un ampio palcoscenico dove, come evidenziavamo, si recita la
storia locale e la si usa per esternare i vitali contenuti della sua anima
sommersa. Antichissimo il Carnevale ascolano: diretto discendente dei Saturnali
per una questione etnico-storica (notizie provate risalgono però solo al
Rinascimento), nel tempo ha assunto una fisionomia sui generis connotata da
originalità (talvolta vera e propria genialità) senza pari: far parlare,
dicevamo, il proprio vissuto, sviscerandolo scherzosamente sopra, sotto,
davanti, dietro, attorno.
Il primo
a parlare, a coinvolgere tutti mettendo pizzicorino negli arti e nella fantasia
è lo splendido manifesto che annuncia il Carnevale e, veicolo turistico
irresistibile, convoglia anche da altre regioni gente non solo spettatrice ma
addirittura attrice. Già, perché chi ha assistito a un Carnevale ascolano ne
rimane a volte così colpito da organizzarsi in proprio e partecipare: ed ecco
Pescara, Urbino, L’Aquila inserirsi, nella confusione con o senza maschera,
perché in Ascoli si può fare Carnevale anche con l’abito di tutti i giorni, è
sufficiente avere in sé il gusto della satira intelligente. Il che non è poco.
Certo, solo chi vive in Ascoli può comprendere le sfumature, la riproduzione
esilarante di persone o circostanze ma la capacità dell’ascolano in maschera è
eccezionale nel coinvolgere il forestiero e questo, preso nel vortice di una
goliardia estemporanea, sta allo scherzo (mai disturbante), si sente
protagonista, cittadino a pieno titolo di una città volutamente e gaiamente
impazzita. C’è posto per tutti, nessuno si sente escluso. Come nessuno si
risente dell’innocente berlina cui magari capita di dover sottostare e non
perché “ a Carnevale ogni scherzo vale” ma perché chi va in piazza a carnevale
sa quello che lo aspetta e lui … non aspetta altro!
Non
bastano le mascherate? Ecco allora le tavolate e, ditemi, chi può resistere
alla saporosità dei ravioli “cace e cannella”, al fuoco del vin brulè o dei
dolci? E poiché “quanne lu cuorpe sta bbè, l’anema canta” (iscrizione lapidea
ascolana) ecco l’ingrediente gastronomico a far cantare, a Carnevale, ascolani
e non. Tutti insieme, appassionatamente.
E se da
Ascoli s’ode uno squillo di tromba, da località limitrofe risponde uno strillo,
anzi tanti strilli: sono i giovani di Offida con i loro fasci infuocati (“lì
velurd”) o che, guazzaronati, in un turbinio bianco e rosso corrono dietro a
“lu bove finte”. Anche nella deliziosa cittadina dell’entroterra il Carnevale
si svolge lungo paramenti personali così come avviene in altri centri vicini
(Castignano, per esempio). Un Carnevale territoriale, dunque, risaltante nel
panorama nazionale per l’essere, prima ancora che una mascherata, una commedia
di strada dove l’unica accademia propedeutica è lo spirito satirico del
cittadino e il suo desiderio di dare corpo ad esso e ai numerosi simbolismi
della cultura locale. Un Carnevale che, iniziato con la domenica “degli amici”
cui fa seguito quella “dei parenti”, arriva alla settimana “grassa” secondo un
calendario irrinunciabile e secolare ma attento ai ritmi passanti del tempo.
Mai,
dunque, un Carnevale ripetitivo nell’inventiva ma, anno dopo anno, rinnovante
se stesso e il desiderio altrui di parteciparvi.
Marcella
Rossi